È successo soprattutto sull’Alpe di Susi così aperta e vasta e luminosa: sei lì seduta su un prato-balcone e guardi oppure sei in piedi appoggiata al bastone per riprendere fiato mentre sali e guardi. Guardi e scorgi sentieri, strade e vie tra le pietre o tra i pascoli, che curvano e ricompaiono dopo un bosco e spariscono dentro un bocchetto e vanno vanno, anche molto lontano.
Che poi è sempre davvero così ‘molto lontano’?
Io credo di aver perso la capacità di valutare le distanze. Forse perché sto sempre negli stessi posti, mi muovo su itinerari noti, sopratutto non vedo la destinazione.
In montagna, invece, camminando, spesso la destinazione si vede: è magari un puntino nero su una parete bianca, o uno specchio d’acqua in basso, è una curva che devi girare per proseguire: e dietro quella curva allora vedrai un rifugio con le persiane rosse o una croce lontana.
Che spesso non è poi così lontana. Lo sembra ma piano piano, passo dopo passo ci arrivi. E ti volti indietro e dici “ma io prima ero là? E ho fatto tutta questa strada qua?”.
Per una come me a cui immaginazione e progettualità scarseggiano, vedere la destinazione aiuta moltissimo. Non mi spaventa vedere che la strada è lunga, che è tutta al sole o che il dislivello è tanto, anzi vedere il percorso, e che molti lo hanno già fatto e altri lo stanno facendo proprio in quel momento, sapere che c’è un modo, una direzione mi fa dire “ok, sono pronta!”.
E se non sono sola è meglio.
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