Isola di Olkhon: Deep Impact

Ovvero: “ma dove siamo capitati?”

Il primo impatto con l’isola di Olkhon, “La Perla del Bajkal”, polo centrale del mondo sciamanico, è stato più o meno come questo

Salvo poi ricrederci. Del resto ci era già capitata una cosa del genere qualche anno fa dall’altra parte del mondo.

Ma andiamo con ordine…

12 agosto: alle 6.30 ora locale (1.30 del treno) il buon Sergay ci tira giù dalla branda (eravamo già praticamente svegli, avendo ben poco dormicchiato), affinché possiamo preparare tutto per la discesa dal treno a Irkutsk. Dove arriviamo, con un lieve ritardo (c’è sempre una prima volta).

Veniamo stipati a forza su un Ford sic Transit gloria mundi, insieme ad altri 15 italiani compagni d’avventura, che con noi fa 17, buon auspicio.
Il biondo responsabile dell’agenzia, uno dalla faccia che la sa lunga, ci tiene a precisare che il driver del furgone è molto esperto. Forse perché essendo in ciabatte non ne dà tanto l’impressione? (By the way, le pianelle sono la calzatura-must del vero Russo, per tutte le stagioni).

No, perché è un pazzo.

Quattro ore e rotti di transfer che manco Fast and Furious. Peraltro, qui in Siberia guidano tutti come dei pazzi: no rules, totale anarchia.

In ogni caso, la cosa più strana è che siamo perennemente circondati da una strana foschia, e ciò aumenta quanto più ci avviciniamo al lago. Il cielo è ovattato, appannato, liquido.

Sapremo poi che un sacco di incendi stanno devastando le foreste intorno al Bajkal. Ai russi pare che occuparsene non interessi: del resto qui gli alberi non mancano. Risultato: una nebbia costante, che ovatta le luci, ma che non ci fa vedere NULLA oltre qualche centinaio di metri di là dal lago. Profumo-odore-puzza di fuliggine e di bruciato tutto intorno, ogni tanto cenere sospesa nell’aria si posa in terra. Insomma: tutti i paesaggi mozzafiato sono smarriti, la vista è miope, sfocata, liquida.

Bella fregatura.

Arriviamo al traghetto per l’isola. Tutto intorno sabbia e steppa, brullo, una terra che sopporta 8 mesi all’anno di ghiaccio. Traghettiamo e arriviamo su Olkhon.


Questo tratto di lago d’inverno lo si percorre in auto, sul ghiaccio.

Dopo un’altra ora abbondante di gimcane a prova di Xamamina, arriviamo al capoluogo dell’isola, la ridente cittadina di Khuzir.
Un posto assurdo, almeno così pare: tutto sterrato, tutto sabbioso, mucche randagie, baite far-west (Siberian style).

Inoltre, la foschia crea un perenne filtro Instagram-like a tutto, con un effetto indubbiamente affascinante ancorché post apocalittico e lievemente inquietante.









Qui veniamo smistati nei vari alloggi. A noi tocca il più famoso (anche se forse in lieve declino, a quanto si dice in giro): il Nikita Homestead.

Un. Posto. Assurdo. 

Siamo nel New Territory (vedasi post dedicato).

La prima sera esploriamo i dintorni: proprio dietro l’alloggio c’è il monumento naturale più famoso della zona, il simbolo autentico del Bajkal: le Rocce dello Sciamano.

“Cioè, ma sono due scogli!”





Evidentemente portatrici di energia sciamanica, tanto che totem con nastrini votivi si sprecano



Sarà la stanchezza, sarà la foschia; sarà il posto assurdo e la guerra dei cessi con la stanza accanto; sarà il luogo ameno o che non si vede a un palmo di lago, sarà… ma io tutta questa energia, tutto questo fascino, sulle prime non l’ho mica sentito.

Forse che il Bajkal è profondo, e le cose profonde ci si mette un po’ a coglierle fino in fondo.

Ma sulle prime… 92 minuti di applausi!!

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