Galapagos – Isla Pinzón

Giovedì 23 agosto, ultimo giorno di escursioni prima del viaggio di ritorno. Andiamo a Pinzón: un’isola che è stata aperta da poco alle visite turistiche, infatti sulle nostre guide è l’unica delle Galapagos a non essere proprio menzionata. Piccola, inapprodabile, la si può visitare solo dal mare, facendo snorkeling in acque relativamente profonde.

Per la prima volta in dieci giorni, ahimè stamattina il cielo era completamente coperto, e pioveva anche un po’. Di solito qui sulle isole piove la notte, ma poi alle 6.30 già le nuvole sono in movimento e tendono ad aprirsi.

Abbiamo comunque imparato che ogni isola ha il suo microclima, quindi se a Puerto Ayora è brutto magari a Pinzón Island c’è un po’ di sole.

Del resto ci vogliono 90′ di lancia Patricia per raggiungerla. E in 90′ ne possono succedere di cose. Si possono vedere delfini correrci accanto, balene soffiare e un sacco di altri animali, che la guida non esita ad elencare carico di entusiasmo.

Già la guida simpaticona. Quando la incontriamo al porto è appena stato al supermercato e ha in mano una bella confezione plastificata di pan brioche: avrà saltato la colazione? Ne farà bocconi per i pellicani? Sarà mica il nostro pranzo? Secondo voi?

Ci accompagna tutto sorridente sul barchino taxi e di lì subito sulla Patricia, dove appena saliti ci fa togliere le scarpe che tanto oggi non ne avremo bisogno (???), poi ci dice che faremo un bellissimo snorkeling con la possibilità di vedere sugli scogli di Pinzón un paio di pinguini che abitano lì e che sulla via del ritorno ci fermeremo in una bella spiaggetta a descansare o a fare un secondo snorkeling in acque più calme. E addirittura! ma forse, potremo anche cimentarci in una fishing activity visto che la lancia è attrezzata con fishing rod e ha l’autorizzazione per la pesca.

Grandi sorrisi e grande entusiasmo. Poi ci fa mettere i giubbettini, cosa che noi comunque accogliamo con piacere visto che lo chaleco è una benedizione per la schiena: abbiamo ancora dei gonfiori sulle vertebre dalla traversata Santa Cruz – Isabela di una settimana prima.

Ma poi però chiude il discorso dicendo velocemente e sottovoce “The ocean today is not quiet, is roughly (sic)”.

Un po’ ce ne eravamo accorti da soli già soltanto uscendo dal porto. Ma poi dal porto ci siamo usciti davvero.

L’assenza di sole rendeva il tutto ancora più drammatico, come se qualcuno avesse messo un filtro alla scena per dipingerla più cupa. Con onde grigie alte così.

Nessuna altra barca intorno.

Noi eravamo in 7 + la guida + il capitano + il marinero. Doppia coppia di italiani di Milano + un signore del Maryland + una ragazza inglese + un ragazzo ecuadoriano. Los italianos gementes et flentes, gli altri tre tranzolli (perlomeno in apparenza, ché in un’ora e mezza non hanno emesso suono alcuno). Dopo circa 40′ di bumping senza sosta e una situazione in cui la barca si è librata nell’aria come un pesce volante almeno quattro-cinque secondi, per poi abbattersi sulle onde senza ammortizzatori, la signora italiana (l’altra) ha chiesto alla guida se andava tutto bene, se eravamo sicuri. La guida ha detto sì, che anche questo è il mare delle Galapagos, anzi che questo è il mare delle Galapagos. E che un’altra barca con un suo collega (“my best friend”) stava arrivando. Mal comune.

Diversivo balena. A un certo punto il capitano dall’alto della sua postazione ne avvista una e praticamente inchioda e spegne tutto. Per pochi minuti va un po’ meglio. Ma non abbiamo la forza di tirare fuori il telefono e staccare le mani dagli appigli per fotografare quella che sì effettivamente è una balena che ci fa vedere bene bene la sua pinnona e ogni tanto sbuffa.

Inganno megascoglio. “Eccoci ci siamo!” ci diciamo noi italiani quando vediamo e ci avviciniamo a quella che pensiamo sia Pinzón. Non è lei. Ciao megascoglio, noi andiamo avanti.

Poi arriviamo. E in effetti ha fatto in tempo a uscire anche un po’ di sole.

[Loro sono i mitici Suzuki Four Stroke: Stroke come bracciata e come infarto…]

E, momento magico, vediamo il primo e unico pinguino delle Galapagos della vacanza. Ci scruta immobile da uno scoglio un po’ lontano. Noi lì, e lui ci scruta immobile. Il famoso pinguino del malaugurio.

[Qui si vede meglio…]

Ci prepariamo per lo snorkeling. E qui la guida ci chiede se siamo tutti dei buoni nuotatori. Perplessità generale: cosa vorrà dire? Ci spiega allora che staremo in acqua massimo un’ora e che faremo solo da lì a là (tipo 100 m in tutto) perché per tornare da là a qui sulla barca dovremo nuotare controcorrente e ci vorrà un po’. Ma vedremo tartarughe marine, many sharks e gli amici leoni marini. Mi raccomando, alla larga dagli scogli che sono pieni di barnacles e ferirsi è un attimo.

Chiediamo un salvagente da usare eventualmente per riposarci ogni tanto. Accordato.

Il primo a buttarsi è sbrendon. Riemerge dopo 20 secondi di trance e dice solamente “è fredda”. 3 2 1 mi butto anch’io: “minchia se è fredda”. Ma è solo un attimo. Perché poi tutto passa quando ci avviciniamo al pinguino che è tanto carino ma sembra imbalsamato, finto, tipo statuetta del giardino. È lì sulla roccia e ci scruta immobile. Sbrendon ripete “è fredda”.

E poi via si pinneggia tutti insieme: ancora tartarughe, belle, colorate, vicinissime; vediamo dei ricci, dei banchi di pescetti d’argento che sembrano sardine. E all’improvviso il sole riesce a penetrare le nuvole e l’acqua è uno spettacolo perché si vede meglio e perché è più caldo.

Sbrendon cede la camera alla guida che vuole farci un video con le tartarughe. Noi e le tartarughe. Il risultato è pessimo. Tartarughe quasi sempre fuori campo e io che prendo teneramente per mano il giovane ecuadoriano accorgendomi poi da un anello al dito che non era sbrendon. Però è stato carino a lasciarmi fare… (poi in barca non se ne è parlato).

[Io sono io ma lui non è sbrendon 😤]

Proseguiamo verso la zona con gli squali che dormono. La guida ci dice “no flipping” e ci avviciniamo: li vediamo. Io mi scosto quasi subito. Non sono a mio agio. E mi si appanna la maschera. Sbrendon si avvicina di brutto e li riprende per quanto può, senza pinneggiare. Poi torna e dice “è fredda”.

Poi è la volta dei leoni marini. Vediamo alcuni cuccioli sugli scogli, sono soli, le madri sono andate a pescare. Subito arriva in acqua il maschio alfa: è enorme e fa il suo verso di rivendicazione per segnalarci la sua presenza. Lui è l’unico che non si allontana mai dalla sua zona e con cui non bisogna scherzare. È molto territoriale e se si invade il territorio (dove ci sono le sue femmine e i suoi piccoli) può diventare aggressivo. Quintali di aggressività. Ci manteniamo a debita distanza e lo vediamo salire gli scogli e mettersi in posizione di controllo: è dura la vita del maschio alfa di leone marino, non può mollare mai, 24/7, perché appena si allontana arriva un altro maschio e gli fotte femmine e cuccioli e territorio. Di solito quella vita dura un paio di settimane, poi cede alla stanchezza (fonte: guida Polaris).

Poi comincia a fare freddo, sbrendon dice “è fredda” e batte i denti e allora io gli do il consiglio della vita: girati, guarda il sole e riscaldati, basta che ti riscaldi un po’ le labbra e vedrai che va meglio. In effetti è vero. Peccato che sbrendon proprio oggi, solo oggi, non ha messo la crema solare, visto lo spesso strato di nubi (che all’Equatore peraltro non significano proprio nulla).

Gli altri milanesi chiedono alla guida di iniziare le manovre di rientro. Ci accodiamo, io pinneggiando all’indietro perché la maschera è appannata ai limiti dell’invisibile; sbrendon aggrappato al salvagente che invece che d’aiuto è un intralcio, visto che ha le gambe semicongelate e col salvagente le braccia sono a mezzo servizio. Arriviamo quindi alla lancia lentamente, con la corrente che ci risbatte indietro, e alla fine guida e anglofoni ci raggiungono e ci superano. Sbrendon, che voleva salire per primo, risale per ultimo, e togliendosi la muta dice “è fredda”. Si piazza quindi al sole per scaldarsi. Senza crema.

Il marinero ci accoglie con sette tazze di cioccolata tiepida e un pezzo di panino al burro (ah ah, svelato l’arcano…). E poi torna in cambusa a cucinare.

Ma stavolta si impegna, e in mezz’ora apparecchia la tavola e arriva con un delizioso tonnetto in salsa di agrumi, insalata e riso bianco. Top!

A questo punto viene messa ai voti la proposta fishing activity. La signora milanese (l’altra) mette in campo un campionario di gesti, frasi ed espressioni persuasive alla Frank Underwood, e la maggioranza si esprime per il NO con un bel 6 a 1 e decidiamo di soprassedere e di andare a riposare in spiaggia (ci spiace per il ragazzo ecuatoriano). Del resto anche la guida dice che abbiamo fatto la scelta giusta. E se lo dice lui…

35′ di bumping e arriviamo a Las Palmas Beach. Desembarque mochado. Ah, come a Espanola: ecco perché non servivano le scarpe! Sbrendon comincia ad arrotolarsi i pantaloni al ginocchio, quando la guida gli fa cenno che non ci siamo capiti. È mochado veramente, del tutto, nel senso che alla spiaggia ci si arriva a nuoto. Sì ok, come no! Noi siamo milanesi, e a questo punto anche un po’ imbruttiti, e quindi noi e gli altri due restiamo a bordo. Gli anglosassoni e l’ecuatoriano si rimettono le mute fradicie, la guida si butta in boxer: ma la mamma non gli ha detto che bisogna aspettare tre ore a fare il bagno dopo mangiato? Bah. Io e il milanese (l’altro) dormiamo; la milanese legge un libro (evidentemente non soffre di mal di mare), sbrendon contempla la spiaggia ed osserva le fregate che svolazzano e i leoni marini che fanno capolino tra le onde.

Gli anglosassoni tornano entusiasti che più entusiasti non si può: hanno visto “decine di tartarughe” e un leone marino parecchio giocherellone. Buon per loro.

L’amico marinero cocinero ci vizia con un’ottima insalata di frutta, che in Ecuador è sempre TOP, per addolcirci il tragitto di ritorno, ché ce ne è di bisogno. E los italianos peresosos più degli altri.

E poi via per gli ultimi 45′ di supplizio. Il cielo è di nuovo coperto. Superiamo agilmente un paio di altre barche, più piccole della nostra e allora capisci che ce la puoi fare. E infatti ce la facciamo. E sembra anche meno drammatico dell’andata. Sembra.

Alle 15.53 mettiamo piede a terra. Sandro di Guiding Galapagos (ora non più stagista ma promosso effettivo) ci aspetta al molo per accompagnarci in ufficio, dove dobbiamo restituire la mitica borsa 22 (“twenty-dos“) con tutta l’attrezzatura che abbiamo usato in questi intensi nove giorni sulle isole. Era l’ultima escursione, e abbiamo finito un po’ col botto.

Sbrendon per la prima e unica volta nella vacanza la sera accuserà il colpo. No crema = mezza insolazione. Tachipirina d’obbligo e lezione imparata: bisogna mettere sempre la crema solare anche quando sembra non essercene bisogno, soprattutto all’equatore, e anche se è l’ultimo giorno.😀

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